Zebù bambino

Zebù bambino

Davide Cortese torna in libreria con una raccolta di poesie edita da Terra D'Ulivi Edizioni

  • 29 dicembre 2021
  • Libri
  • Ignazio Gori

Ricordando le precedenti poesie di Davide Cortese, ho accolto con stupore questo suo ultimo Zebù bambino (Terra d’Ulivi Edizioni, postfazione di Mattia Tarantino, pp.40, Euro 7.50). Lo stupore di cui parlo si riferisce al grado elevato di ironia del testo, quasi sublimato, perché definirla “provocazione” risulterebbe difatti troppo superficiale.

Partendo infatti da un accento inequivocabile, il bambino di cui parla Cortese è un diavoletto atipico: non è infatti l’iconografico spiritello che vizia l’uomo, ma è contrariamente viziato dall’uomo nella sua crescita prematura, rovesciando in questo modo – in una maniera che sarebbe piaciuta a Pasquale Festa Campanile – uno spirito natalizio vessato da pleonastiche ipocrisie.

L’idea dell’autore è un libello di poesiole in rima, quasi filastrocche visto che si parla di bambini, quelle che potrebbe un adulto ripetere a suo figlio, un adulto ribelle ovviamente, cui preme infondere un puro senso di ribellione, senza veli, non privandosi di quell’ironia, di quel sarcasmo da commedia lazzarona, vezzo delle persone libere, di chi non crede al Bene e al Male come dogmi precostituiti, ma al valore del proprio sguardo, alla prospettiva da cui si guarda.

Ci sono giuochi di rime e di morali che mi hanno fatto pensare alle messinscene meta-teatrali delle marionette napoletane, a deliziosi presepi distorti da specchi, ai film di John Waters (Incendia la torta del suo compleanno/chiude gli amici nel vecchio capanno./Scarta da solo i regali avuti./ Brucia il capanno e tanti saluti.) E’ Lucignolo questo Zebù Bambino, è Oliver Twist in una ipotetica versione, angelico-luciferina, di Marcel Jouhandeau. (Piace la cioccolata/al piccolo demonio/non dividere in sillabe/la parola abominio./Vuole il gesso nero/per scrivere alla lavagna./Manda al cimitero/la maestra che si lagna. /Non vuole  saperne d’ a, e, i, o, u./Ama la ricreazione/il piccolo Zebù.) E’ l’idea primigenia di un “Pierino” uber alles, irresistibile, capace però anche di romanticismo, come lo è ogni buon necrofilo (Quando in petto lo strugge/un arcano bisogno d’amore/va a rubare all’emporio del gobbo/un leccalecca a forma di cuore.).

Con una serie di immagini corrosive, dettate dal degrado pop della società, dove anche il plastificato ha derive autoriali, dopo il porno è più porno se virtuale, Davide Cortese accende i suoi accendini nel buio dello sgabuzzino e si diverte al bizzarro giuoco di infanzie castrate, di malombre, di paradossi, soffiando in un megafono distorto grottesche preghiere (ricordate la funambolica Chocolate Jesus di Tom Waits? https://www.youtube.com/watch?v=1wfamPW3Eaw).

Cortese spiffera all’orecchio della coscienza, refrattaria agli arlecchini del pudore. Il voyeur, ammaestratore di pulci, che dal suo terrazzino spia giù nel cortile i bambini Zebù e Gesù giocare assieme – apparentemente diversi, ma solo per chi non osserva bene – sa già di quale funerale gioire. (Le mani che di giorno hanno picchiato/al buio le giunge in preghiera./Zebù bambino si finge pio./A cavalli di vetro soffiato/stringe la fragile criniera./Gioca ai funerali di dio.).

In questo poemetto, buffo e accattivante,    ripeto, luci e ombre non sono parafrasi di Bene e Male, ma macchie di muffa dello stesso sipario dietro il quale tutti noi ci esibiamo, anzi, in maniera più estesa, sono risvolti e struttura portante di tutto il teatro, il mondo inteso come rappresentazione. Perché se tutto è vuoto, se tutto è sogno, e la vita stessa è sogno nel sogno, cosa arriverà mai di noi, povere ombre, alla fine di tutto?

Forse il “bambino” che resta ingabbiato in noi, come una irrealizzabile idea?  

Recita uno straordinario Alberto Sordi nei panni di un cinico mediatore di bambini, nel film di Vittorio De Sica Il Giudizio Universale: Avanti signori, andiamo, non vi ci mettete anche voi! Questa non è una crociera di piacere. Io qui sto lavorando per voi; i bambini si devono imbarcare! Non mi fate perdere tempo, fatelo per i vostri figli. Su, andiamo, siate gentili.”

Gioventù eterna, altro che Bene e Male, questa è l’eterna ossessione di noi tutti!

 

Ignazio Gori


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