La morte del pittore Matteo Masiello, grande artista di fama internazionale

  • 04 aprile 2020
  • Mario Sicolo

Le tele di Matteo Masiello erano mondi pieni di tutto, dove trovavi intatta l'inquietudine dell'uomo moderno ed un silenzio pieno di sogni perduti.

Certo, dopo l'eco impressionista degli esordi, la sua arte si era fatta filosofica, nel senso che era partorita da una poetica ben delineata, talché ogni pennellata nasceva da una meditazione pensosa e dolente, ma chiara, sull'esistere, era logos che si faceva immagine e storia.

La metamorfosi dell'uomo era passaggio da uno stato all'altro, come se ogni vita avesse bisogno di una morte per rinnovarsi. E, poi, il tempo, che regnava sovrano in quelle opere di respiro profondo e insieme intellettuale, segnava tutto quel che sfiorava, quasi trasfigurandolo.

Le figure che le popolavano sembravano immote in un dialogo impossibile e insondabile, referto indiscutibile di una incomunicabilità tutta novecentesca. Ma, in questa incertezza del racconto, il dato inattaccabile, sicuro, preciso, era il colore. Il nitore di cromie esatte non lasciava spazio a sfumature.

Masiello era pittore kafkiano, in grado di sublimare la realtà in un sopramondo sospeso e magico, che lo mitridatava dalla minaccia del male dei giorni, custodendo intatto, però, il mistero imperscrutabile del nostro transito fugace quaggiù.

Nato nel 1933 a Palo del Colle, è stato bitontino vero.

Autodidatta della tavolozza, da operaio a dirigente generale ministeriale, tutto ei provò. Prima esposizione nel 1970 a Roma. Otto anni dopo, lo presenta a Palermo Nello Ponente. Nel curriculum numerosi riconoscimenti fra cui il Premio Internazionale meneghino "La Madonnina" nel 1984 . È invitato alla XI Quadriennale d'Arte di Roma e a manifestazioni artistiche in molte città italiane. Ingioiella di sue illustrazioni libri, riviste e giornali. Non c'è paese estero che non abbia ospitato le sue mostre: Russia, Romania, Stati Uniti, Svizzera, Belgio, Israele, e trattasi d'elenco approssimato per difetto. 

Lucia Anelli in lui scorgeva la capacità di abbinare "la visione onirica e e turbinosa del mondo, ad una satira tagliente e da una vasta e profonda cultura".

"Era - secondo Nicola Pice - un maestro fantasioso di mondi invisibili che conducevano fuori dall'angoscia dell'esistere".

"Pittore di sogni e misteri, uno degli artisti più insigni e originali della nostra terra", ha scritto Giovanni Procacci.

Marino Pagano lo ha definito: "Campione del realismo magico e profondo conoscitore dell'evoluzione di scuole e stili".

Alto, austero, rigoroso, anche ironico, qualche anno fa, decise di donare gran parte della sua produzione al Comune di Bitonto, da sistemare nel primo anello del Torrione Angioino. Quel che era un amorevole omaggio, fu scambiato per una sorta di indebita usurpazione. Le opere furono messe bruscamente alla porta in nome di più nobili (?) Intenti. Le accolse la città di Trani, che all'inclito autore bitontino dedicò una sala del municipio.

Umane mestizie dalle quali il grande Masiello, da ieri, è stato svincolato per sempre.

Sit tibi terra levis, caro Matteo.


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